Eccoci qui, ancora una volta in cammino verso la grotta di Betlemme, per risentire il canto degli angeli: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Ancora sorpresi. Un po’ stanchi ma non rassegnati. Con la speranza che da Betlemme arrivi una luce che porti calore ed orientamento.
Per me è il decimo Natale che ho la gioia di celebrare con voi. Nel primo mi chiedevo: Dove viene Gesù? Rispondendo che viene nella “piazza” del nostro borgo, nel “castello” e in “chiesa”, dove cioè si svolge normalmente la nostra vita. L’anno successivo mi ero riferito alla testimonianza di mons. Giuseppe Lozer; nel Natale del 2020 mi rivolgevo ai giovani riportando una bella frase da un libro che avevo consegnato ad alcuni di loro, L’armadio del cuore, che invitava a: “non essere mai imbarazzati, senza mai creare imbarazzo”; l’anno scorso mi ero riferito a s. Giuseppe, il santo che faceva da sfondo per la catechesi, come quest’anno lo sta facendo sant’Agostino. Quest’anno, il decimo della mia presenza fra voi, impone una verifica della fede e dell’operato della parrocchia.
Gli aspetti positivi sono presto detti, ben riconosciuti: la ricerca di un volto di chiesa accogliente, rivolta a tutti, non solo con le porte della chiesa aperte, soprattutto per l’atteggiamento di chi sente viva l’appartenenza alla Chiesa ed è guidato non da preoccupazioni per il numero di chi partecipa con costanza, in particolare alla s. Messa della domenica (ancora encomiabile), quanto invece dalla gioia di allargare ad altri l’accostamento alla fede e alla Chiesa, attraverso varie forme.
La prima riamane quella della testimonianza cristiana dove si vive normalmente, ad iniziare dalla famiglia, non perdendosi di coraggio nelle difficoltà. È facile dirsi cristiani in chiesa, ma è più bello dirsi ed essere cristiani dove si lavora, dove si studia, nei luoghi del divertimento e della sofferenza, nei giorni festivi e nei giorni feriali, quando sé è soli e quando in compagnia.
C’è poi la disponibilità di tante persone che si mettono a servizio: don Dionisio, il diacono Mauro, suor Annamaria, Roberto e i tanti ministri straordinari dell’eucaristia, i membri del Consiglio pastorale e del Consiglio per gli affari economici, i catechisti, i lettori, i membri della Caritas, gli addetti per le pulizie della chiesa, e dell’oratorio e degli ambienti circostanti, il personale della scuola dell’infanzia “Mons. Giuseppe Lozer”, i “Piloti del tempo che vola”, i chierichetti, fratel Francesco che dal Brasile non finisce di ringraziarci, il coro e i due organisti che accompagnano la s. Messa rendendola più partecipata, i nostri segretari, i compositori de “L’Amico di casa”, le tantissime persone che in vari modi si sentono vicine alla chiesa con l’aiuto concreto e con la preghiera; in questo elenco vanno inseriti anche quanti stanno attivando per la collaborazione con la parrocchia “sorella” di sant’Agostino.
C’è infine la luce che sgorga dai volti e dal cuore di tante persone, per lo più anziani e ammalati: un vero scrigno di umanità per come affrontano la vita e le relazioni, caratterizzato da un sorriso sincero e da un “grazie” pronunciato con discrezione, per come ricordano i defunti.
Gli aspetti bisognosi di attenzione, da prendere in maggior considerazione, con lo stesso coraggio con cui i pastori si incamminarono verso Betlemme: anch’essi possiamo riassumerli a tre. Il primo. “Per chi suonano le campane?”, è ben più del titolo di un grande romanzo di Hemingway. La chiesa in un borgo è come il richiamo ad un modo di leggere la vita, e prima ancora la propria persona, che apra al trascendente, ad un sguardo non schiacciato sulle cose di ogni giorno ma proteso verso l’altro, verso il riconoscimento della vita come dono del Signore e missione da svolgere per la propria gioia e per la gioia di tutti, non trascurando l’ammirazione e la cura dell’ambiente in cui viviamo. Per cui, contano le iniziative messe in campo ma di più il rimando alla chiesa come ad una grotta che rende più umana la nostra vita, più semplice, più affettuosa, più sorridente, più luminosa, più forte, più famigliare. In altre parole, la Chiesa più scolpita sul volto delle persone che la frequentano e meno sulle iniziative che si fanno o, per essere più esatti: la Chiesa che tende a fare in modo che quello che propone aiuti a stare bene la singola persona come la famiglia, come la società.
Il secondo. A seguito del punto precedente, prendere atto che la preoccupazione prima degli amici e discepoli del Signore è di vivere la fede con più convinzione personale, dando rilievo alla formazione necessaria, soprattutto alla preghiera. Sarebbe un Natale speciale il nostro se, per esempio, iniziassimo a riscoprire l’importanza che ha la preghiera in famiglia per la nostra fede o consolidassimo questo momento di grazia; come pure il rilievo da dare all’adorazione in chiesa il venerdì sera.
Il terzo. La fede è soprattutto cuore nuovo, un bambino che nasce e che viene donato e accolto: donato per essere accolto, accolgo per essere donato. Sottostante emerge un modo di intendere la vita basato sul dono: sentirsi un dono, sentire gli altri un dono, percepire l’ambiente come dono, i giorni come dono, la gioia come dono, la sofferenza come dono, l’incontro come dono, la solitudine come dono, la maturazione come dono. Un modo di esprimersi, questo, per tanti versi sorprendente in un tempo in cui si parla molto di conquista, successo, merito, diritto, rivalsa, dominio e poco di altruismo, dedizione, amore, cura, collaborazione. In una cultura che non favorisce sentimenti nobili e crea nei più giovani percorsi di vita lontani dal rispetto, dalla generosità, dalla delicatezza, sia nel parlare che nei modi di essere; provocando dispiacere non tanto perché il presepe rischia di essere relegato nel sottoscala o nei recessi dell’animo quanto perché la loro vita affonda su di un terreno fangoso, senza luce e senza indicazioni di autentica umanità.
Agli adulti più che mai viene ora chiesto un supplemento di coraggio per sconfiggere ogni illusione e riconoscersi in quei pastori che stanno tranquilli in mezzo al loro gregge perché nel cuore gli occhi di quel bambino, Gesù, la bellezza di quella madre, Maria, il coraggio di quel padre, Giuseppe, il canto degli angeli, la terra culla di Dio, la casa che sa di cielo. “Gloria a Dio e pace in terra”: più di una lode, più di una speranza, il domani né mio né tuo, di noi, di tutti noi, di un mondo di pace e giustizia, il domani dei bambini di fratel Francesco, dei bambini dell’Ucraina, dei bambini che siamo tutti noi quando ci sentiamo non padroni ma ospiti di questo mondo e come tali capaci di apprezzare e non distruggere, di amare e non passare via invisibili e indifferenti, di ringraziare e non rimanere chiusi nelle nostre paure e nei nostri rimpianti. Buon Natale!
Don Giosuè